Negli occhi della preda di Leonardo Barone

Oggi rimaniamo ancora una volta in Italia, e parliamo di un thriller nuovo nuovo, classe 2021, del regista toscano Leonardo Barone, quasi interamente girato nella zona di Firenze e dintorni, Negli Occhi della Preda. Il film gioca sul tema della doppia personalità, rifacendosi a modelli illustri che non hanno certo bisogno di presentazione, ma ribaltando un po’ la situazione canonica del disturbato mentale che diventa assassino a causa dell’emergere di un suo altro io oscuro: qui a doversi confrontare col suo alter ego malvagio è la giovane e taciturna Laura, figlia di un ricco imprenditore tenuta in ostaggio da una banda di bruti al fine di un cospicuo riscatto. Sarà proprio grazie a Bella, il suo lato oscuro che spesso prende il sopravvento, che Laura farà cambiare drasticamente il destino suo e di tutti coloro che le gravitano intorno. Le location toscane, molto belle, saltano subito in primo piano grazie alle splendide riprese via drone, che evidenziano una natura incontaminata che grande peso avrà nello svolgimento dell’opera.

Un manipolo di balordi, capitanati dal carismatico Santiago, tiene in ostaggio Laura, la giovane figlia di un ricco imprenditore, per ottenere un riscatto. Tra essi ci sono due fratelli, Brando e Benedetto, allevati da Santiago come fossero suoi figli, Aurelio, il più perverso, la sua compagna, l’avvenente Selvaggia, che ha funto da esca per la cattura di Laura, e Lupo, il più viscido e laido del gruppo, che non riesce a tenere a bada le proprie pulsioni sessuali. Dopo una prima telefonata al padre di Laura dove gli viene chiesto di pagare il riscatto, ovviamente senza avvisare la polizia, il film si muove sui flashback, svelandoci che Laura soffre del disturbo della personalità multipla, per il quale è da anni in cura da uno psicologo, dopo aver perduto la madre da bambina in un agguato da parte della malavita che avrebbe, invece, dovuto colpire il di lei padre. Da quel momento dal suo inconscio ferito e fragile, apparentemente privo di difese, emerge il suo alter ego forte e violento, Bella, che sceglie di prendere il sopravvento nelle maniere più brutali quando la ragazza si trova in difficoltà o è minacciata in qualsiasi modo. Quando Bella deciderà di emergere durante il periodo di prigionia di Laura, per i suoi rapitori non saranno certo rose e fiori.

Il potenziale per essere un ottimo prodotto indie questo Negli Occhi della Preda, scritto dal co-produttore Ethan Michael Carter basandosi su un vecchio progetto dello stesso Barone, lo avrebbe avuto eccome, a partire dalle doti registiche del giovane filmaker, che non sono affatto male, con movimenti originali e sincopati della mdp che ci fanno entrare nel mondo destabilizzato di Laura proprio come se girassimo insieme alla sua testa. Notevole, oltre alle location boschive toscane suddette, anche la villa dove si svolge la maggior parte dell’azione, arredata elegantemente ma con un non so che di cupo che in un thriller non guasta mai. Però, purtroppo, quello che fa affondare miseramente questo film, è il comparto recitativo, debole sotto diversi punti, arrivando, in alcuni momenti, a spingere il lavoro verso un’amatorialità quasi imbarazzante. Peccato, perché l’attrice protagonista, la ventenne Laura Calamassi, aveva svolto il suo compito con molta serietà e professionalità, riuscendo bene a gestire il passaggio da Laura a Bella; tacciata di eccessiva teatralità, trovo invece che qui le sue doti teatrali l’abbiano aiutata e supportata nella costruzione di un personaggio non semplice. Intorno a lei, chi più chi meno, gli attori riescono ad essere davvero poco credibili e convincenti, eccetto qualche eccezione. Paolo Massaria, nel ruolo del capobanda Santiago e Giorgio Borroni in quello di Brando, scanzonato fuorilegge che entra in scena canticchiando Piece of My Heart di Janis Joplin, sono forse i due attori che stonano di meno, ma alcuni, che si lasciano scappare addirittura delle risate nei momenti più drammatici del film, o parlano talmente impostati da risultare ridicoli e fastidiosi, portano talvolta la pellicola su un binario da commedia di parrocchia che uno script del genere certo non avrebbe richiesto. Per non parlare poi dell’accento toscano, che se è perfetto per un film di Benigni o Pieraccioni, ha ben poco senso in un thriller a tinte fosche che vira al Revenge Movie, venendo a crearvi all’interno dei siparietti comici involontari che non solo smorzano la tensione ma tolgono qualsiasi patina di veridicità all’azione. Mi permetto di essere particolarmente dura su questo punto tecnico della dizione attoriale proprio perché essendo toscana, ed essendo attrice da tanti anni, ho imparato col sudore della fronte ad usare una corretta dizione, e la sua importanza al fine di una giusta messa a punto di un’opera drammatica. E Negli Occhi della Preda è sicuramente un’opera di stampo drammatico, non ha nulla della horror comedy, è brutale, violenta, spietata, sanguinaria, cattiva, disillusa, quindi personaggi come il padre, la bellona o lo scagnozzo allupato sono piuttosto fuori luogo, davvero poco credibili e portano il film ad affossarsi, ahimè, su se stesso. Davvero un peccato, perché sia Barone che Carter di buone idee ne avevano tirate fuori diverse, e sarebbe bastata una maggior cura nella gestione del casting per rendere questo film un ottimo prodotto nel panorama indie italiano.

Invece la tensione e l’ansia creata dalla situazione in cui si ritrova la povera Laura vengono inficiate da dialoghi imbarazzanti, portati sull’orlo del ridicolo dalla calata toscana che alcuni degli attori più importanti non si danno il peso di togliersi, e da scene che lasciano perplessi per la poca cura con la quale sembrano essere state realizzate. Tra queste, ne menziono due tra tutte: Benedetto ad un certo punto, durante una colluttazione, sbatte violentemente il naso contro lo stipite di una porta, così forte da buttare sangue; nella scena successiva il ragazzo ha il naso perfetto, senza traccia di ecchimosi, lividi o nemmeno un po’ di sangue rappreso (dubito che nella concitazione dell’azione abbia pensato ad andare in bagno a lavarsi e sistemarsi!); in una scena particolarmente drammatica tre dei balordi si trovano davanti al cadavere di uno di loro, consapevoli che il loro ostaggio si è involato, ed invece di correre a rotta di collo per riacciuffarla se ne stanno lì mezz’ora a discorrere tranquillamente sulla fine che debba fare il cadavere ed a chi tocchi seppellirlo, in mezzo alla finta disperazione della bellona moracciona. Insomma, a mio parere, questa patina ironica/comica non ci sta assolutamente bene, né che sia voluta, né che sia involontaria, e devo dire che non sono stata l’unica a pensarlo.

Tuttavia i difetti di questo film devono essere messi un po’ da parte quando si pensa che Negli Occhi della Preda è il primo lungometraggio di Leonardo Barone, che vi arriva dopo tutta una serie di corti nel quale aveva fatto largo uso della computer grafica, tra cui ricordiamo La Maschera Nera, 13 Scatti, Black Hole ed E’ solo un Gioco. Qui sceglierà di non usare lo stesso stile, e la cosa, a mio parere, non stona assolutamente col taglio che il filmaker ha voluto dare alla sua opera prima in lungo, realizzata con un budget di circa 10.000€, e nella quale la CGI viene impiegata solo saltuariamente quando funzionale a determinate scene. Barone, oltre ad occuparsi della regia, è anche direttore della fotografia, co-produttore e curatore del casting, unico aspetto su cui, in futuro, gli consiglio di concentrarsi un po’ di più. Va comunque notato lo sforzo di dare una caratterizzazione a ciascun personaggio, per non renderli tutti piatti e confondibili l’uno con l’altro: Massaria/Santiago è il leader indiscusso, riflessivo, che non si fa mai prendere dal panico o sopraffare da paure o voglie incontrollate; Borroni/Brando il giullare, il simpaticone, che sembra uscito da una fiaba dei Fratelli Grimm, una sorta di Tremotino dei nostri giorni, se vogliamo, nella sua buffa crudeltà; Dorigo Badea/Benedetto il cattivo dal cuore d’oro, con gli occhioni che sprizzano bontà e mettono a proprio agio, senza dubbio il tassello più umano di tutta la banda; Potenza/Lupo è il viscidone, lo schifoso, il perverso, che tenta di approfittare della situazione per placare i suoi istinti più bassi ed abbietti; Cimmino/Aurelio, poi, è quello che gioca a fare il duro per eccitare sempre più sessualmente la sua donna, ma che un vero duro non è, e il capo non perderà occasione di farglielo notare. Se questo approfondimento psicologico fosse stato supportato da doti attoriali più o meno tutte sullo stesso piano sicuramente il film avrebbe avuto una maggior caratura.

Ottima davvero la scelta, come set principale, della Casa Museo Leonetto Tintori a Prato, residenza di questo poliedrico artista fino alla sua morte avvenuta nel 2000. Il suo estro nello spaziare dalla pittura alla scultura, dal mosaico alla scagliola, è ben rappresentato negli interni della sua casa, tappezzati di opere d’arte di ogni genere, antiche e moderne. Sicuramente tale location ha contribuito moltissimo ad aumentare, nel prodotto finale, l’atmosfera, sottolineata dalla bella fotografia e dall’estrosa regia di Barone, ed è il luogo adatto dove immergere la storia di Laura che, dopo anni combattuti a cercare di reprimere la sua seconda personalità, si renderà conto, infine, che forse lasciarla emergere è la sua unica speranza di salvezza. Per le altre location Barone ha saltellato per la nostra bella Toscana, da uno studio psichiatrico a Firenze, dove ambientare, nella maniera più realistica possibile, la scena della seduta di Laura con lo psicanalista, alla bella campagna di Baratti (Piombino) dove avviene la morte della madre di Laura o a quella di Cecina, dove una Laura adolescente gioca con un’amica; se il film si apre a Grosseto, si conclude poi a Pratolino, vicino Firenze. Lode, quindi, alla nostra Toscana, che non così spesso è set di film del brivido.

Come co-produttore ricordiamo anche il regista Riccardo Ceppari, alla cui pellicola di imminente uscita, Dawn of Vincent, Barone ha preso parte come attore. Nell’augurare a questi giovani registi, pieni di idee e di talento, un futuro radioso e ricco di soddisfazioni, li invito sempre però a tenere ben sott’occhio i limiti del low budget e a stare attenti alle scelte che faranno per le loro nuove produzioni perché, come si dice, meglio poco ma buono, no?

 

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Ilaria Monfardini