A Tutto Vip con la Morris: Demetra

Intervista a Demetra, vincitrice di uno dei concorsi per artisti drag queen più famosi e professionali d’Italia che ci racconta il suo anno da Miss!

Come è stato il tuo anno da Miss Ciao Drag Queen Italia?

Il mio anno da Miss è stato pieno di eventi e trasferte, nelle quali ho conosciuto un sacco di persone, artisti. Non sapevo a cosa sarei andata incontro, devo essere sincera, immaginavo che vincere una corona mi avrebbe dato tanto ma non pensavo fino a questo punto. Sono maturata molto, sia artisticamente che umanamente.

Come e quando nasce il tuo amore per lo spettacolo?

È nato con me: già all’asilo amavo le recite, carnevale, interpretare qualcuno sotto i riflettori. Sono sempre stato un ragazzo e un bambino molto timido, ma sul palco mi trasformavo, potevo essere chiunque e questo mi aiutava a vivere la mia infanzia in una zona purtroppo omofoba come la Valtellina. Mia madre mi ricorda sempre che da piccolissimo stavo in piedi davanti al televisore ballando insieme alle ragazze di “Non è la Rai”. Il palco è stato un posto speciale da sempre, quasi un tempio dove tutto è perfetto e si può essere felici.

Hai parlato di tua madre, come vivi il rapporto coi tuoi genitori?

Posso dire di essere fortunato. Mia madre è sempre stata aperta a qualsiasi mia scelta. Fu lei a comprarmi la prima parrucca, frequentavo l’asilo e volevo vestirmi da bambina, così un pomeriggio torno a casa e trovo una parrucca bionda coi boccoli. Ero il bambino più felice del mondo. Mi permise in quarta elementare di frequentare danza classica, cosa più unica che rara per un ragazzo delle mie zone. Ero l’unico maschio in mezzo a circa 70 bambine. Il sostegno dei miei genitori non si è mai fermato. Mia madre ha cucito degli abiti che ho indossato e mio padre mi ha aggiustato più di una volta i tacchi!

Demetra oltre che artista e performer è organizzatrice di eventi. Raccontaci meglio.

Si! Quest’anno ho voluto mettermi alla prova nel creare qualcosa, usando la mia notorietà. Ho dato vita a due grossi eventi, un po’ intrecciati tra loro. La linea di unione è stata la beneficenza: avevo voglia di fare del bene concretamente, non come scusa per farmi vedere o altro ma per una causa che mi sta molto a cuore: la questione della sieropositività all’HIV. I guadagni di questi eventi sono stati devoluti all’associazione LILA Piemonte.

Il primo è stato un progetto più ampio, due momenti che hanno anticipato l’evento principale: una prima serata di dialogo col pubblico per far conoscere meglio la “Kiki House of Savoia” di cui sono membro e la cultura ballroom; una seconda serata che ha invece inaugurato una mostra fotografica organizzata insieme al collettivo “Elvira”, mostra progettata come viaggio, un insieme di fotografie tratte da diverse ball d’Italia raggruppate per categorie.

L’evento principale, a dicembre, è stato “The Book of Life Kiki Ball”, ispirato dal mantra “non giudicare un libro dalla copertina” perché troppo spesso si giudica una persona sieropositiva solo per il suo stato sierologico e non nel suo essere persona, e nel 2020 con i farmaci e le cure a cui possiamo accedere, lo stigma è davvero assurdo!

Con mio immenso piacere è stato un successo, ragazz* della scena italiana e persone esterne venute da tutta Italia per vedere e godere di un’atmosfera davvero stupenda, fatta di unione.

Il mese prima invece è andato in scena “Le Città Invisibili”, uno spettacolo teatrale creato da me insieme al mio padrino artistico Max Extremis, di cui ho curato la regia e in cui ho convogliato i miei amori: la danza, il teatro e l’arte drag, e per il quale ho avuto la fiducia di molti artisti. Il mio intento era creare una storia, attraverso le parole di Italo Calvino, che avesse un senso per me ma che potesse avere diverse chiavi di lettura. È stato uno spettacolo molto forte per me essendo autobiografico, ma come ci insegnano, l’arte, in ogni sua forma, aiuta ad esorcizzare qualsiasi cosa.

Quale è stato il periodo più difficile di quest’anno?

Sicuramente l’autunno. La preparazione estiva degli eventi era finita e si doveva mettere tutto in pratica. Con settembre sono iniziati gli eventi, le trasferte, le prove. Però è stato un bellissimo periodo. Spingermi al limite è bello. Purtroppo il contrario di questa quarantena.

Ma la cosa bella è la famiglia che si è creata. Grazie a Ciao Drag Queen ho trovato amici che sono diventati una vera famiglia, con cui c’è reciproco sostegno sia artistico che umano, e questo per me è importante.

Queen of Aosta, parlaci di come ti sei rimessa in gioco.

Per me é stato il secondo anno. Nell’edizione 2018 sono arrivata seconda, dopo la bellissima Alexandra Gonzalvez. Quest’anno ho voluto riprovarci. Non avevo molte pretese, volevo fare un bello show e divertirmi, e credo sia stata la chiave. Riguardando anche i video di quella serata, mi stavo proprio godendo la serata, e credo che il pubblico l’abbia notato, infatti era giudice sovrano della competizione.

Demetra ha qualche sogno nel cassetto?

Assolutamente si! Mi piacerebbe poter continuare ad esibirmi sui palchi italiani e magari anche all’estero. Vorrei poter continuare a vivere della mia arte, a creare esibizioni e spettacoli che possano piacere al pubblico. Demetra non è solo drag ma anche ballroom. Il mio sogno è poter entrare in una Major House ed essere riconosciuta all’estero.

Com’è il carattere di Demetra?

Testarda! La parola perfetta per me!

Io ho amato molto la mia comfort zone. All’inizio Demetra cercava sempre di non coprirsi le sopracciglia, non usare ciglia finte, di rimanere nel mood showgirl sexy.

Ma grazie ai miei genitori artistici Max Extremis e Gina Lellafrigida sono riuscito piano piano a togliermi queste convinzioni e ampliare le mie conoscenze.

Sono cresciuta tanto come look ma soprattutto come personaggio.

Ho imparato ad abbracciare il mio lato comico, il mio lato attoriale e commovente.

Ho imparato ad usare un microfono! Le mie “drag fight” (una delle prove del contest, in cui i concorrenti sono sfidati a punzecchiarsi tra loro in modo ironico per fare pratica col microfono e l’intrattenimento) durante la mia edizione erano allucinanti (ride) Ora sono più sciolta, anche se ho ancora molta strada da fare!

Demetra vive in due mondi si può dire. Il mondo drag e il ballroom , puoi spiegarceli’.

Il ballroom nasce negli anni ’60 dalla comunità lgbt e black o latina, che in quegli anni sentiva di non avere le stesse possibilità di una persona etero e di pelle bianca. Erano soggetti alla cosiddetta doppia discriminazione. Quando ci si allena e si compete, ancora oggi, è davvero importante conoscere la storia del ballroom e le motivazioni che hanno portato alla sua creazione.

In tal senso, c’è una categoria in particolare che è davvero utile a spiegare questi bisogni: realness. Quando competi nella categoria “Realness” devi cercare di rappresentare al meglio il tema, o il personaggio, che viene stabilito in gara. Se, per esempio, occorre rappresentare la figura tipica del dirigente aziendale, dovrai munirti non solo dei costumi adatti a rappresentare il personaggio, ma anche di atteggiamenti, sguardi, modi di camminare, eccetera. La categoria serviva, quando è nata, a persone che erano impossibilitate a fare quel determinato tipo di lavoro – per motivi economici, sociali, politici –, per dimostrare al proprio sé e al pubblico presente che, in realtà, le caratteristiche (estetiche e interiori) per poter ricoprire quel ruolo c’erano tutte: erano le possibilità, invece, a mancare.

Le persone che fanno parte di questa cultura si ritrovano durante le ball per potersi sfidare e arrivare a vincere dei gran prize. Ci sono due tipi di realtà, la scena Major e la scena Kiki con relative function.

La Major è più “formale”, più rigida nelle regole, ed è la più antica. Ognuno può decidere di competere nella scena che preferisce, ma solitamente si compete sulla scena Major solo quando si pensa di possedere una buona padronanza della categoria. La scena Kiki, invece, è più rilassata, molti partecipano ad alcune categorie per il puro piacere di farlo e non si fanno troppi problemi quando sanno di essere ancora alle prime armi. Le regole ci sono, certo, e variano in base alla categoria a cui si partecipa.

Forse la regola più rappresentativa del ballroom è proprio “esprimi ciò che sei”. Occorre dare sempre libero sfogo alla propria personalità e creatività ma sempre restando all’interno del tema assegnato dalla categoria nella quale stai competendo.

Invece Ciao DragQueen?

Ciao DragQueen è un game contest / scuola.

È un percorso che dura molti mesi, la selezione Nord ovest (dove io ho partecipato) inizia a settembre fino a febbraio. Ogni mese viene portata in scena una puntata, ma il lavoro nelle 4 settimane precedenti è per i partecipanti una vera e propria scuola, che include corsi di trucco, teatro, portamento, sartoria e performance, con una particolare attenzione alla creazione del personaggio, che è mirata a creare una stabile struttura della drag per potersi esprimere al massimo. Il dover affrontare temi assegnati può sembrare un obbligo forzato, ma aiuta a capire quello che funziona su di noi, per arrivare alla finale con una coscienza molto forte.

Per me Ciao DragQueen è tutto. Sono nata con la primissima puntata in assoluto, quasi incosciente, su un paio di tacchi con un completino bianco cantando “Malamoreno” di Arisa.

Consiglio vivamente agli emergenti di avvicinarsi a Ciao DragQueen, perché oltre a dare tante opportunità si crea una vera famiglia!

Progetti futuri?

Purtroppo molti progetti sono stati rimandati a causa dell’emergenza sanitaria all’anno prossimo, ma è già in progettazione una nuova kiki ball sempre di beneficenza, che avrà luogo, leggi permettendo, a Dicembre, come lo scorso anno.

Nella fase due si sta già lavorando a qualche progetto online, come stanno facendo anche tante colleghe in tutto il mondo, per portare un po’ di spensieratezza in questo periodo un po’ buio.

Un consiglio per i nostri lettori

Un consiglio? Sicuramente umiltà e autocritica se si vuol far parte di questo mondo. È molto importante per me non sentirsi mai arrivati perché è un atteggiamento che ti porta a calare il tiro, ad adagiarsi, e a rimetterci è la propria arte. Autocritici sempre, cercare di creare un bel prodotto, curato sotto ogni aspetto. Ma la cosa più importante è divertirsi, perché se non ci divertiamo e non amiamo noi per primi quello che facciamo, perdiamo credibilità di fronte al pubblico, che percepisce la finzione.

Barbara Morris Piazza

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