Argylle – La super spia: il nuovo Kingsman?

All’interno di una ricca colonna sonora comprendente, tra le altre, Run di Leona Lewis e il ritrovato inedito beatlesiano Now and then, è la sempreverde You’re the first, the last, my everything di Barry White ad aprire Argylle – La super spia, che, senza perdere tempo, catapulta immediatamente Henry Cavill in un serrato e distruttivo inseguimento su quattro ruote in Grecia.

Del resto, prima ancora che faccia la sua entrata in scena John Cena nel ruolo di un collega, è nei panni dell’agente segreto suggerito dal titolo che il Superman del DC Extended Universe viene calato dal britannico Mathhew Vaughn, autore di Kick-Ass e del franchise Kingsman.

Agente segreto che scopriamo presto essere l’eroe nato dalla fantasia della solitaria autrice di best seller spionistici Elly Conway alias Bryce Dallas Howard, legata al suo inseparabile gatto Alfie e che, in seguito all’incontro con una spia allergica proprio ai simpatici felini, si ritrova al centro di un intrigo nient’affatto distante da quelli che caratterizzano i suoi scritti. Spia di nome Aiden e cui concede anima e corpo il vincitore del premio Oscar Sam Rockwell, subito impegnato in uno scontro a bordo di un treno destinato a segnare l’inizio del continuo mescolarsi di realtà e finzione scritta da Elly, sempre più coinvolta in fatti riguardanti le azioni di una vera organizzazione di spionaggio.

Un continuo mescolarsi che porta i due in giro per il mondo; man mano che troviamo all’interno del cast anche Samuel L. Jackson e che, con il ritmo narrativo atto a rallentare nel corso della seconda parte delle due ore e venti circa di visione per poter lasciar spazio alle spiegazioni utili a far capire cosa stia accadendo ai protagonisti, non sono affatto i colpi di scena a risultare assenti. Colpi di scena che contribuiscono in maniera fondamentale a rendere Argylle – La super spia molto più originale di quella che poteva inizialmente sembrare una banale derivazione ipercinetica del soggetto alla base di All’inseguimento della pietra verde di Robert Zemeckis.

Un soggetto in questo caso molto più folle e che, concentrandosi sulla massima “Più grande è la spia, più grossa è la bugia”, Vaughn gestisce come di consueto senza dimenticare mai l’ironia; intrattenendo efficacemente lo spettatore attraverso la sequela di situazioni action – da quella che tira in ballo fumogeni colorati all’altra con tappeto di petrolio su cui “pattinare” – coreografate come fossero balletti di violenza… fino ad un’ultima sorpresina posta durante lo scorrimento dei titoli di coda.

 

 

Francesco Lomuscio