Creep di Patrick Brice

Nel 2014 vede la luce un piccolo film girato con la tecnica del found footage, Creep, che riscuote in breve un discreto successo. Regista, sceneggiatore ed attore co-protagonista è l’americano Patrick Brice, mentre come produttore, co-sceneggiatore ed attore troviamo Mark Duplass, uno dei fondatori del movimento cinematografico mumblecore. Distribuito dalla casa di produzione Blumhouse Productions di Jason Blum, è approdato alla fine su Netflix divenendo così giustamente fruibile al grande pubblico. La pellicola ha ottenuto una buona risposta sia dal pubblico che dalla critica, cosa che ha spinto Brice a realizzarne un secondo capitolo nel 2017, ovviamente con lo stesso protagonista, e pare che ci sia attualmente in lavorazione un ulteriore sequel.

La storia parte già abbastanza strana: un videomaker professionista, Aaron, viene ingaggiato da un certo Josef per girare un reportage nella sua casa di montagna. L’uomo accetta e Josef gli spiega di avere un terribile tumore al cervello che non gli lascerà oltre due mesi di vita, e che quindi, essendo sua moglie Angela incinta, vuole realizzare un filmato da lasciare al figlio che probabilmente non conoscerà mai, per mostrargli chi era suo padre e cercare di restituirgli un po’ della quotidianità che avrebbero potuto vivere assieme. Aaron inizia così a girare ed inizialmente tra i due uomini pare esserci un discreto feeling, nonostante le innumerevoli stranezze di Josef, che sembra fare di tutto per spaventare e mettere a disagio il compagno, fino a tirare fuori una terrificante maschera da lupo mannaro dall’armadio. Ma poi tutto pare concludersi sempre con delle grandi risate. Fino a quando Aaron manifesta, a fine giornata, la volontà di andarsene per tornare a casa e montare il molto materiale che ha registrato. Josef dice che prima che lui vada deve fargli una confidenza a telecamera spenta, e da questo momento in poi le cose sembrano cambiare radicalmente, e per Aaron ci saranno in serbo delle sorprese tutt’altro che piacevoli.

È molto ben girato, questo Creep, sebbene si tratti di un’opera prima e per di più di un found footage; questa tecnica cinematografica, con la telecamera usata in modo amatoriale a creare una sorta di soggettiva, è spesso bistrattata perché viene accusata di essere caotica e di creare mal di testa e capogiri non piacevoli nello spettatore. Ma qui Brice dimostra una notevole capacità critica, e decide di mostrarci il suo operatore non come il ragazzino improvvisato con la camera a mano che fa venire il mal di mare, ma come un abile videomaker che ha un’ottima padronanza del mezzo e lo gestisce da professionista. Le riprese sono belle e stabili, soprattutto quelle iniziali nel bosco che richiamano alla mente classici del cinema come Un Tranquillo Weekend di Paura di John Boorman del 1972 ma anche prodotti del nostro made in Italy come Shadow di Federico Zampaglione del 2009, nei quali i boschi nascondono sempre al loro interno qualche insidia, qualche pericolo da cui è difficile scappare. Qui però le vere insidie non si celano propriamente nel bosco, ma nel grazioso cottage montano che Josef presenta come una proprietà di famiglia, e dal quale Aaron si ritroverà ad un certo punto a voler scappare a gambe levate.

Chi è veramente Josef, mirabilmente interpretato da Mark Duplass che da dietro la sua espressione socievole e pacioccona sa tirare fuori delle maschere facciali assolutamente imperscrutabili? Quanto di ciò che racconta ad Aaron è vero, e quanto è invece una messinscena? Qui sta il bello del film: farci entrare sempre più in una realtà che è chiaramente diversa da come appare, portarci a sondare ogni piccolo segnale e dettaglio fino a percepire insieme ad Aaron il pericolo che si cela dietro quelle mura e dietro al volto apparentemente simpatico e rassicurante di Josef. Una telefonata di Angela metterà sempre più in agitazione il povero operatore, sperduto di notte in una baita in mezzo al nulla con un uomo evidentemente non sano di mente e senza più sapere dove siano finite le sue chiavi dell’auto. Ed il bello deve ancora venire. Gli atteggiamenti di Josef porteranno addirittura a far credere che l’uomo abbia una sorta di ossessione gay nei confronti dell’operatore, che pure ha appena conosciuto, e ciò renderà la vicenda ancora più ingarbugliata. Il morboso disagio che si trova a vivere il povero Aaron è descritto con grande abilità e partecipazione, complice forse anche il fatto che ad interpretarlo è lo stesso regista.

La pellicola è divisa in due parti nette e ben identificabili: la prima è quella cosiddetta di preparazione, che butta già tutta una serie di sottintesi per arrivare preparati alla seconda, in cui i fatti cominciano a deflagrare e va man mano creandosi una buonissima dose di tensione condita da ottimi colpi di scena. Decisamente d’effetto anche la parte finale del film, forse non del tutto inaspettata ma certamente capace di stupire e farci dubitare sulla sanità mentale non solo di Josef ma anche di Aaron.

Creep è un found footage che può tranquillamente guardare anche chi non ama il suddetto genere, e questa è stata una scelta quanto mai astuta da parte del regista, così da attirarsi le simpatie sia degli estimatori che dei detrattori del filmato in prima persona. Molto bello il processo di manipolazione che si va pian piano eseguendo su Aaron, vittima inizialmente totalmente ignara del suo destino e fiduciosa in colui che gli sta davanti, e che gradualmente diviene vagamente consapevole a causa degli strani segnali che gli giungono da Josef, come gli scherzi continui, la tendenza a spaventarlo con urla e con l’uso della maschera, le confessioni spiazzanti che gli fa a macchina spenta su violenza e perversioni sessuali, sue e della moglie. Tuttavia l’ombra nera del cancro che a breve porterà via questo pover’uomo continua a costituire, nella mente di Aaron, un attenuante per i suoi modi di fare che lo porteranno senz’altro a sottovalutare la situazione. L’inquietudine serpeggia intorno e dentro la baita fin da subito, sia noi che Aaron l’avvertiamo, ma lui cerca di ricacciarla indietro, in fondo si tratta di un lavoro di una giornata, poi tutto ritornerà alla normalità e lui avrà incassato un bel po’ di soldini. Il messaggio, doloroso quanto realistico che questo film vuole lanciarci, è che spesso, fidandosi di chi si ha di fronte più di quanto si dovrebbe, ci si rende inevitabilmente partecipi di un gioco al massacro che non può portarci che alla distruzione di noi stessi, anche se questa non equivale necessariamente alla morte. Quindi, dietro quello che sembra un filmetto, si nascondono tematiche molto profonde ed attuali che fanno parte, in un modo o nell’altro, della vita quotidiana di ciascuno di noi: quante delle persone che abbiamo davanti e che ci parlano guardandoci negli occhi si conoscono veramente? Di quanta gente possiamo fidarci? È così facile riconoscere in chi ci gira intorno un potenziale assassino?

Insomma questo Creep, così come il suo seguito di cui volutamente evito di parlarvi per non rischiare spoiler che potrebbero inficiare la visione di questo primo capitolo, è un film realizzato con un budget bassissimo che però centra in pieno l’obiettivo di inquietare e spaventare lo spettatore, puntando maggiormente sulla perfetta interpretazione dei due protagonisti, su idee brillanti ed a tratti geniali, sulla costruzione di una crescente tensione via via sempre più soffocante ed opprimente, e su una discreta fotografia. Creep ha il merito di essere uno di quei film che non ti fa sobbalzare e poi sorridere ma ti stilla dentro un’ansia ed un’angoscia che perdurano dopo la visione della pellicola, cosa non facile da trovare nelle produzioni odierne. Altro punto di forza è il suo non essere affatto arzigogolato, ma semplice ed immediato, facendo in modo che l’inquietudine sia presente in ogni singolo fotogramma. Il tema dello stalking domina l’intera vicenda, rendendo vive nella nostra mente le notizie troppo spesso riportate dai telegiornali che riguardano fatti orribili legati proprio a questa fin troppo diffusa pratica di violenza. Si può quindi definire Creep un found footage davvero raggelante nella sua verosimiglianza, un film horror che però indaga con estrema lucidità su piaghe del nostro tempo quali lo stalking e il senso di solitudine che porta spesso a gravi patologie psicologiche. Il finale, certo non del tutto originale, riesce a risultare comunque agghiacciante, sfruttando anche la placida location lacustre e l’assordante silenzio che accompagna gli ultimi gesti di Josef.

 

https://www.imdb.com/title/tt2428170/

 

 

Ilaria Monfardini