RaiPlay rende omaggio a Ingmar Bergman con la rassegna “Sinfonia d’autore”

RaiPlay dedica una rassegna a Ingmar Bergman, maestro dell’esistenzialismo e dell’analisi psicologica. Un’offerta cinematografica che propone alcuni dei capolavori del grande regista svedese entrati a far parte dell’immaginario collettivo, da Il settimo sigillo a Persona, da Il posto delle fragole a Luci d’inverno e Monica e il desiderio, oltre al documentario in esclusiva Bergman 100: La vita, i segreti, il genio. Cinque film in versione integrale e restaurata con doppio audio e sottotitoli.

Il settimo sigillo (in svedese Det sjunde inseglet) è un film svedese del 1957 diretto da Ingmar Bergman, trasposizione cinematografica della pièce teatrale Pittura su legno (Trämålning) che lo stesso Bergman aveva scritto nel 1955 per la sua compagnia di attori teatrali. Presentato in concorso al 10º Festival di Cannes, il film vinse il Premio Speciale della Giuria, ex aequo con I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda. L’idea venne a Bergman contemplando gli affreschi delle chiese medievali: menestrelli ambulanti, appestati, flagellanti, streghe sul rogo, crociati e poi la Morte che gioca a scacchi. Il soggetto deriva peraltro da un atto unico scritto da lui stesso nel 1954 per un saggio di recitazione degli allievi dell’Accademia Drammatica di Malmö. Era una breve rappresentazione scenica di una cinquantina di minuti e servì molto bene per l’uso cui era destinata. Conteneva parti per tutti gli allievi. Ce n’era anche una per il meno dotato: quella del cavaliere muto perché i saraceni gli avevano mozzato la lingua.

Trama
Reduce dalle Crociate, il cavaliere Antonius Block torna in patria trovandovi però solo miseria e sgomento. La peste miete le sue vittime senza pietà, e anche sulla strada di Block, ormai svuotato di ogni fede, si para una nera figura: è la Morte in persona, venuta a reclamare la sua anima. Ma Block chiede tempo: accetterà di giocarsi la vita in una partita a scacchi, mentre l’incontro con una famiglia di artisti di strada gli restituisce la speranza.

Persona è un film del 1966 diretto da Ingmar Bergman. Si tratta dell’opera stilisticamente più sperimentale del regista svedese, nella quale l’assoluta essenzialità espressiva, resa dall’abituale, straordinario bianco e nero di Sven Nykvist e dall’uso programmatico del primo piano, è arricchita da sequenze surreali, a rappresentare l’inconscio, e da immagini metacinematografiche (la pellicola che brucia e si accartoccia su se stessa). Il titolo deriva dalla locuzione latina Dramatis persona, il termine per definire la maschera indossata dall’attore (e quindi il personaggio) nel teatro latino. Si tratta di un chiaro riferimento alla professione della protagonista del film. Ma l’etimologia potrebbe rivelare altro: in latino persona è formato dalla preposizione per, che indica eccesso, e sona che deriva a sua volta da sonare “suonare”. Dunque, la parola indicava la funzione principale della maschera nel teatro, e cioè quella di amplificare il suono della voce degli attori, così da farla arrivare al pubblico. Tradotto nel cinema bergmaniano il concetto significherebbe un’amplificazione del conflitto interiore di Elizabeth e Alma, tanto da esternarlo, nella pellicola, col gioco di luci e ombre, con la mimica facciale di Liv Ulmann e Bibi Andersson.

Trama
Elisabeth Vogel, nota attrice, un giorno incomincia a rifiutarsi di parlare, chiudendosi in un ostinato mutismo. Le viene affiancata un’infermiera che incomincia a raccontarle la sua vita privata. Le confessioni della donna si fanno via via più intime. Ma l’attrice in una lettera svela i segreti dell’infermiera. Uno dei tanti, splendidi ritratti sull’orlo di una crisi di nervi di due donne e delle loro nevrosi.

Il posto delle fragole (Smultronstället) è un film diretto da Ingmar Bergman nel 1957 che ricevette numerosi premi tra cui l’Orso d’oro al Festival di Berlino, il premio della critica a Venezia, il “National Board of Review” statunitense, la candidatura all’Oscar per il miglior soggetto originale, il Golden Globe della stampa estera di Hollywood, il Premio Bodil danese per il miglior film europeo, il “Gran Premio” della cinematografia norvegese, il premio dell'”Associazione critici britannici”, il primo premio al Festival argentino del Mar de la Plata, il Nastro d’argento italiano. Il film, grazie al quale Bergman ha potuto imporsi sulla scena cinematografica internazionale, è fra i più conosciuti e apprezzati. Il cast vede quasi tutti gli attori cari a Bergman. Il protagonista, Victor Sjöström, è un nome illustre del cinema svedese, nonché maestro professionale di Bergman, che lo aveva già voluto per un piccolo ruolo in Verso la gioia (1950). Nel 2000 Bergman omaggerà ancora il suo maestro raccontando di lui in Bildmakarna.

Trama
L’anziano professor Isak Borg, un luminare della medicina, si reca a ritirare un ambito riconoscimento nell’Aula Magna dell’Università di Lund. Prima di intraprendere il viaggio fa un sogno premonitore che lo invita a riconsiderare tutta la sua vita. Nel lungo viaggio lo accompagna la nuora Marianne che è in crisi con il marito, un uomo gelido ed egoista. La sosta presso la casa natale di Borg è l’occasione per ripensare al passato e ritornare nel “posto delle fragole”.

Luci d’inverno (Nattvardsgästerna) è un film diretto da Ingmar Bergman nel 1963. È il secondo della trilogia dedicata al tema del “silenzio di Dio”, comprendente: Come in uno specchio, la saggezza acquisita; Luci d’inverno, la saggezza svelata; Il silenzio – il silenzio di Dio -, impronta negativa. Il film vinse il primo premio all'”VIII Settimana Internazionale del film religioso” a Vienna e, ex aequo con Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan, vinse nel 1963 il Gran Premio OCIC (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica che si occupa di cinema) con la seguente motivazione: “Illustra in modo straziante il tormento che costituisce per ogni anima profonda il silenzio di Dio”. Il film venne realizzato in una piccola città della Svezia centrale, Falun poi designata per la prima mondiale del film il cui incasso si devolse a beneficio del restauro della chiesa.

Trama
Tomas Ericsson, un pastore protestante, dopo la morte della moglie si accorge non solo di aver perso la fede, ma, forse, di non averla mai avuta. In piena crisi non riesce più a dare conforto ai suoi parrocchiani uno dei quali si ucciderà. È una delle vette della produzione bergmaniana: girato in un glaciale bianco e nero tenuto sulle tonalità grige come quelle delle vite dei personaggi. Inquietante e ancora inspiegato, il finale aperto.

Monica e il desiderio (nell’originale in lingua svedese Sommaren med Monika, Un’estate con Monica) è un film drammatico del 1953 diretto da Ingmar Bergman. L’idea del film nacque dall’incontro casuale del regista con Per Anders Fogelström, nella Kungsgatan, la principale arteria commerciale di Stoccolma. Lo scrittore accennò ad un soggetto per un racconto breve – sarebbe divenuto romanzo solo dopo l’uscita del film – da cui era ossessionato e che doveva trattare di una giovane coppia che piantava famiglia e lavoro e fuggiva in un’isola. Il loro sogno romantico era destinato ad andare in frantumi una volta che, costretti a tornare in città, si sarebbero rivelati incapaci a scendere a patti con le esigenze della quotidiana vita borghese. Il film, che ebbe distribuzione dal 1953, fu proiettato in Italia solamente nel 1961, venne dapprima molto discusso dividendo il parere della critica ma, in seguito a una sua rilettura durante una retrospettiva che la cineteca francese aveva organizzato, venne completamente riabilitato, da parte soprattutto di Jean-Luc Godard.

Trama
Monica ha sedici anni e fa la commessa, Harry è di poco più anziano e lavora in un negozio. Si incontrano, si innamorano, lasciano Stoccolma e vanno a vivere su un isolotto: ma l’estate dell’amore è breve.

 

Luca Biscontini