Stasera in tv L’ultima donna di Marco Ferreri, con Gérard Depardieu e Ornella Muti

Stasera in tv su Cine34 alle 00,45 L’ultima donna, un film diretto da Marco Ferreri, con Gérard Depardieu e Ornella Muti del 1975. Prodotto da Edoardo Amati, con il soggetto e la sceneggiatura di Rafael Azcona, Marco Ferreri e Dante Matelli, la fotografia di Luciano Tovoli, le scenografie di Michel De Broix, i costumi di Gitt Magrini e le musiche di Philippe Sarde, L’ultima donna è interpretato da Gérard Depardieu, Ornella Muti, Michel Piccoli, Renato Salvatori, Giuliana Calandra, Zouzou, Nathalie Baye.

Trama
Giovanni è un ingegnere cassintegrato, lasciato dalla moglie, che vive ora col figlioletto Pierino nella grigia periferia industriale di Parigi, a Créteil. All’asilo del bambino conosce Valeria che, in crisi col fidanzato, inizia a frequentarlo. I due vanno a convivere, ma dopo un iniziale periodo molto felice (anche sessualmente), il rapporto scivola nella routine e s’incrina senza un motivo ben preciso. In seguito ricompare l’ex moglie e Giovanni trova pure una nuova fiamma. Nel finale, Giovanni, torturato dall’impotenza psicologica a gestire la sua vita sentimentale e accusato di fallocrazia dalle donne, s’evira.

L’ultima donna, o l’ultimo uomo piuttosto. Poiché, alla fine del film, Gerard Depardieu si taglia, con un coltello elettrico da cucina, il proprio sesso in erezione. E perché non l’ultima coppia, visto che è proprio di quella che Ferreri ci racconta? O, in definitiva, l’ultima famiglia: dato che c’è anche un bambino, e di sesso maschile? Già nel titolo, Ferreri è poco chiaro; come questo suo penultimo film, che precede Ciao Maschio. Poco chiaro Ferreri lo è sempre stato: il suo è un cinema a metà strada fra l’analisi sociologica e la metafora poetica. Una strada che porta a dei personaggi simbolo, a delle entità astratte, a degli esempi di comportamento. Ma non a degli individui integrati in una società; con un passato, delle relazioni con il mondo che li circonda. Una strada che sollecita l’intelligenza dello spettatore con il rischio di cadere nella freddezza intellettuale. Qualche volta, nel corso della sua carriera ormai lunga, Ferreri vi è cascato: nelle sue opere migliori evita il pericolo dello schematismo grazie a due attributi. La tenerezza nei confronti dei propri personaggi o l’humour, sottile e provocatorio, come quello che gli serve qui per dipingere l’assai straordinario personaggio di Depardieu.

Il cinema di Ferreri è allora quello dell’ultima spiaggia, l’analisi di una società che muore: il tutto condotto sulle ali dell’esasperazione. Il tono è sempre stato quello della provocazione spinta ai livelli estremi per lo spettatore: Ferreri, da sempre, vuole irritare, disturbare, a qualunque prezzo, primo fra tutti li buon gusto. Non uscite dalla sala: è il maggior piacere che potreste fargli. Ecco perché, ad un cinema come questo, non potete chiedere la lucidità assoluta; o la collaborazione umana meditata dei personaggi. Dovete accontentarvi, ma scusatemi se è poco, in un panorama dominato dal conformismo più vile, dal terrore di uscire dagli schemi con il rischio di perdere una fetta di spettatori, dell’arte di spingere, al limite del sostenibile il confine delle regole.

In questo suo desiderio di provocazione Ferreri è chiarissimo. La presentazione de L’ultima donna che segue, è sua: «Nel film ci sono un uomo e una donna, ognuno con i propri problemi. E il problema dell’uomo è il problema della nostra epoca: se vuole continuare ad esistere deve assolutamente cambiare. La società è morta, priva di ogni struttura umana. L’uomo può modificarsi, lo ha già fatto in passato, può mutarsi col mutare delle civilizzazioni. L’uomo di oggi che non cambia, non serve più a niente. Era stato costruito per fare la guerra, per lavorare, per servire il potere. Non c’era la macchina, ma soltanto l’uomo. In cambio di questi suoi servizi gli si dava la possibilità di essere un patriarca, di prendere a calci in culo senza problemi la moglie e i figli. L’autorità del padre non è altro che questo. L’uomo era costruito per ciò; ma le macchine e l’automatismo hanno modificato la situazione. E obbligano l’uomo a modificarsi. Il mio personaggio, al termine del film tenta di trovare una soluzione, in un estremo bisogno di ribellione. Si taglia il membro maschile, ma non per disperazione; un atto di rivolta non è mai un atto di disperazione».

Come il Bergman di Sussurri e grida, come l’Altman di Tre donne, Ferreri è il cronista di un mondo privo di logica, di una società che l’assenza di Dio ha condotto ad un punto morto. Solo con i personaggi e le situazioni estreme si può riuscire a provocare delle soluzioni estreme. Ne L’ultima donna, nobilitato dalla fotografia magistrale di Tovoli, il maschio si castra per continuare a vivere con la donna; in Ciao maschio ha ormai rinunciato alla paternità (vive con una scimmia) ed al linguaggio (utilizza un fischietto per comunicare) . Ma, paradossalmente, il cinema di Ferreri non è un cinema del pessimismo: L’ultima donna termina, malgrado tutto, con un tentativo di continuazione. E pure Ciao Maschio, dove ormai la civiltà è ritornata nel buio della barbarie, conclude con un’immagine di una spiaggia assolata e una donna, e un bimbo maschio, fiduciosi. Cinema del disordine e della protesta, del sarcasmo che salva dallo schematismo della metafora sociologica, quello del regista italiano è un esempio unico di ribellione alla logica utilitaristica del mondo dello spettacolo”.

(Fabio Fumagalli, 9 Novembre 1978)

 

 

Luca Biscontini