Stasera in tv Manhunt di John Woo

Stasera in tv su Rai 4 alle 23,15 Manhunt, un film del 2017, diretto da John Woo. Remake del film giapponese del 1976 Kimi yo fundo no kawa o watare. L’edizione italiana di Manhunt è a cura della Tecnomovie di Roma; i dialoghi italiani e la direzione del doppiaggio sono a cura di Massimiliano Painelli Perrella, assistito da Valentina Perrella. I fonici di missaggio e doppiaggio sono rispettivamente Paolo Baglio e Davide De Luca; quest’ultimo si è occupato anche della sincronizzazione della pellicola. Con Tao Okamoto, Ji-won Ha, Jun Kunimura, Hanyu Zhang, Hiroyuki Ikeuchi, Naoto Takenaka, Yasuaki Kurata, Masaharu Fukuyama, Nanami Sakuraba.

Trama
Accusato di ingiuriosi crimini che non ha commesso, un procuratore si prefigge di salvaguardare la propria reputazione mentre la polizia gli dà la caccia.

Manhunt è una co-produzione tra Cina e Hong Kong (Media Asia) del 2017, diretta dalla leggenda del cinema d’azione John Woo. L’ultima fatica del maestro si presenta come un remake dell’omonimo film di Junya Sato (1976), interpretato da Ken Takamura; tuttavia fin dalla sequenza iniziale capiamo come il film sia tutto tranne che un “semplice” rifacimento. Si possono facilmente individuare tutti i caratteri del cinema che ha reso grande il regista di Hong Kong in patria e poi in tutto il mondo. Si segue con piacere la storia di una caccia all’uomo che proprio non sta in piedi, tra spietate industrie farmaceutiche e riuscitissime donne killer “potenziate”, scontri rutilanti e sparatorie chirurgiche. Anche il gusto per il melò è restituito in maniera impareggiabile, come solo Woo sa fare. Il suo cinema è l’unico che ricorda quello di Walter Hill, così spudoratamente innamorato degli ’80 e capace di stuzzicare continuamente i propri interpreti, mettendo davanti allo spettatore storie di uomini guidati da un’etica che impone l’aggregazione fra esseri umani, a costo di beccarsi una pallottola.

Oltre a un uso sperimentale e affascinante del rallenti, ritroviamo altri marchi di fabbrica del regista, dalle carrellate a un montaggio serrato (di solito nel pieno dell’azione le inquadrature durano uno o due secondi al massimo), con una logica dei raccordi che fa sì che la successione rimanga sempre leggibile. La poetica di Woo, inoltre, prende corpo con un altro tassello significativo, ossia il passato che invade il presente con flashback molto brevi e altamente drammatici (una giovane donna assiste all’uccisione del suo amato durante la cerimonia delle proprie nozze).

Anche i due protagonisti sono i più classici degli eroi del cinema del regista: a tal proposito, subito dopo l’iniziale scontro, tra i due si instaura un rapporto di fiducia e rispetto dove ritroviamo l’amicizia virile: entrambi sono pronti a sacrificarsi l’uno per l’atro. Woo è solito puntare su attori molto validi: Qiu è interpretato dal cinese Zhang Hanyu (il protagonista di The Taking of Tiger Mountain di Tsui Hark), e Fukuyama (il detective Yamura) che, oltre a essere una super star del mondo musicale, si è rivelato un grande interprete anche grazie a Hirozaku Kooreda (si segnala anche la presenza dell’attrice sud-corea Ha Ji-woon e quella di un’altra leggenda giapponese, Naoto Takenaka).

Ricorrendo a un montaggio serrato fino a diventare imbizzarrito, con dettagli ripetuti dei volti (vedi il sudore), Manhunt è la summa del cinema del maestro, in cui prende forma una reazione a catena, come un terremoto che genera uno tsunami, calpestando tutto e tutti. In definitiva, Manhunt è un’opera che dovrebbe far felici sia i fan della prima ora del regista, sempre che siano disposti ad accettare l’aggiornamento al 2017 della sua poetica e non si aspettino un hard boiled dai toni troppo drammatici, sia gli altri spettatori, che potrebbero trovarsi davanti a un action d’intrattenimento con tutti gli ingredienti giusti per divertire.

 

 

Luca Biscontini