Stasera in tv su Iris alle 21 Shutter Island di Martin Scorsese

Stasera in tv su Iris alle 21 Shutter Island, un film del 2010 diretto da Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer e Max von Sydow. Il film è basato sul romanzo del 2003 L’isola della paura (Shutter Island) di Dennis Lehane. Ha esordito al primo posto nella classifica del box office con 41 milioni di dollari. È il film di Martin Scorsese che ha guadagnato di più nel weekend d’apertura. È rimasto al primo posto nel secondo weekend con 22,2 milioni di dollari. Alla fine, il film ha incassato 128 012 934 $ in America del Nord e 166 790 080 $ nei mercati esteri, per un totale di 294 804 194 $.

Trama
L’agente Federale Edward Daniels ha come missione quella di ritrovare una folle di nome Rachel Solando fuggita dal manicomio criminale più duro del mondo, situato in un’isola sperduta nell’oceano; lui, in compagnia del suo nuovo compagno Chuck Aule, deve ritrovare la donna e riportarla dove le spetta, mentre si troverà dinanzi al dilemma del 67 e la regola del 4 che contraddistingue la mente criminale di colei che fu rinchiusa per aver annegato i propri tre figli nel lago vicino casa per poi usarli come bambole; ma alla fine niente è come sembra e la verità si trova in cima al faro della misteriosa isola con a comando il Dottor John Cawley.

Martin Scorsese torna al genere thriller dopo quasi vent’anni e, proprio come Cape fear (1991), il suo Shutter island condivide il gusto retrò del cinema anni Quaranta, riaggiornato a una grammatica registica che in pochi a Hollywood possono permettersi. «Ho mostrato alla troupe Vertigine (1944) di Otto Preminger e Le catene della colpa (1947) di Jacques Tourneur prima di iniziare le riprese», commenta lo stesso Martin Scorsese. «A quella linea cinematografica affiancherei anche il cinema di Fritz Lang».

Un prodotto profondamente cinefilo, quindi, che il regista esprime nell’amalgama di fotografia, regia e musiche, riportando alla mente atmosfere care anche all’espressionismo tedesco e, infatti, continua: «I grandi autori del cinema tedesco sono stati adottati da Hollywood durante il nazismo, e alcuni di loro sono diventati tra i migliori interpreti del thriller e del noir». Dal punto di vista narrativo il film segue una linearità logica che progressivamente si sfilaccia in situazioni oniriche visionarie decisamente inedite nel cinema dell’autore newyorkese.

La storia è ripresa dal romanzo L’isola della paura dell’ormai gettonatissimo Dennis Lehane, lo scrittore da cui sono stati tratti anche Mystic river (2003) di Clint Eastwood e Gone, baby, gone (2007) di Ben Affleck. «In qualche modo sono rimasto legato al materiale originale», sottolinea sempre Scorsese, «alla paura e la paranoia che è racchiusa nell’opera letteraria». Lehane è notoriamente abile nel ricreare i drammi umani della provincia americana, il dolore che non conosce modo di attenuarsi e che alimenta se stesso fino alle estreme conseguenze. Nel caso di Shutter island è immerso più che nelle precedenti trasposizioni in una situazione tipicamente di genere, nonostante il tema del trauma inaccettabile diventa l’effettivo McGuffin della storia. Scorsese pare essere interessato al tema complottistico e paranoico della vicenda, più che al lato umano: «In qualche modo sono temi che riflettono la mia idea di racconto, perché ho i miei dubbi nei confronti dell’autorità».

Leonardo Di Caprio interpreta Teddy Daniels, un U.S. Marshall che, insieme a un suo collega, indaga in un manicomio criminale sulla scomparsa di una paziente. Nella clinica sono in conflitto le teorie progressiste del dott. Cawley (Ben Kingsley), che vorrebbe curare i pazienti attraverso la terapia, l’accettazione del dolore, assecondando lo sviluppo del lutto, e quelle conservatrici e brutali del dott. Nahering (Max Von Sidow), dedito alla lobotomia. Daniels scoprirà un complotto atto a farlo impazzire. La confezione di Shutter island è assolutamente ineccepibile, com’è ovvio aspettarsi da produzioni di questo calibro, ma quello che non convince è lo sviluppo finale dell’intreccio che in casi del genere richiede una precisione matematica negli schemi, che, in effetti, non c’è. Alla fine della fiera la chiusa risulta forzata e troppo simile a molte opere già viste.

Luca Biscontini