Disponibile su Youtube, in alta definizione, L’eclisse di Michelangelo Antonioni

Disponibile su Youtube, in alta definizione, L’eclisse, un film del 1962, ottavo lungometraggio diretto da Michelangelo Antonioni. È il capitolo conclusivo della cosiddetta “trilogia esistenziale” o “dell’incomunicabilità”, segue L’avventura e La notte. Presentato in concorso al 15º Festival di Cannes, vinse il Premio speciale della giuria, ex aequo con Processo a Giovanna d’Arco di Robert Bresson. Sceneggiato da Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra, Elio Bartolini e Ottiero Ottieri. con la fotografia di Gianni Di Venanzo, il montaggio di Eraldo Da Roma, le scenografia di Piero Poletto, i costumi di Gitt Magrini e le musiche di Giovanni Fusco, L’eclisse è interpretato da Monica Vitti, Alain Delon, Francisco Rabal, Lilla Brignone, Louis Seigner, Rossana Rory, Mirella Ricciardi, Cyrus Elias.

Trama
Dopo una delusione amorosa, Vittoria incontra Piero, un agente di borsa cinico e disinvolto. I due diventano amanti proprio all’indomani di un crollo in borsa nel quale la madre di Vittoria ha perso parecchi soldi in favore di Piero. Questo getta un’ombra sul loro rapporto che si sfalda.

«L’eclisse è una scommessa folle: presentandoci dei personaggi “inattivi”, alla deriva in paesaggi vuoti, il regista ci invita a scoprire le tempeste che si agitano all’interno dei personaggi.» (Alain Resnais)

Antonioni continua la sua ricognizione critica in una società caratterizzata da un crescente benessere materiale, grazie all’inarrestabile sviluppo economico, ma anche da una profonda crisi esistenziale. Lo fa alternando sequenze di rumore e caos, ambientate nelle sale della Borsa di Roma, a lunghi silenzi e paesaggi di architetture fredde, geometriche (il quartiere dell’EUR), che riflettono l’incomunicabilità dei sentimenti e l’insuperabile senso di estraneità che caratterizza il rapporto fra i personaggi.

Il regista affida il racconto, più che alle saldi mani della sceneggiatura (di Tonino Guerra come accadeva per il resto della “Trilogia”) a una poetica visuale, in cui scomposizione e composizione dei piani vanno di pari passo. La rarità dei piani sequenza è un fattore comprovante: ve ne sono soltanto in prossimità dei primi piani dei due protagonisti. Per il resto si assiste a un frazionamento convulso, a piacimento dell’autore, scatti fulminei della macchina da presa, istantanee, sequenze fugaci, frammenti lirici della visione. Questo continuo e incessante rimando alla frammentazione nel metodo di montaggio è il sintomo, a livello operazionale, di ciò che accade, o meglio si vede nel corso della narrazione: il frammento visivo trova ulteriore messa in luce nel vociare scomposto, disarmonico e debordante nelle scene che si svolgono alla Borsa di Roma. Esso poi usufruisce di un elemento di amplificazione, considerato il contenuto stesso delle immagini, immerse nel turbinio avvolgente dei tagli e dei frazionamenti: il fatto principale è che il mondo ritratto dalla macchina da presa ha una sua sostanza solo come oggetto geometrico, corpo avente una precisa presa di coscienza dello spazio. Svariati i rimandi come, ad esempio, il cumulo di mattoni che deformano la superficie visiva, sezionandola in un’infinità di spazi difformi.

Il finale è il punto di arrivo (e di non ritorno) di questa rappresentazione visiva, esteriore, dell’interiorità fragile, inadeguata, di un’intera generazione: gli oggetti inerti e le architetture metafisiche (che molti hanno associato ai quadri di Giorgio De Chirico) si sostituiscono completamente ai personaggi («Gli ultimi 10 minuti silenziosi e senza narrazione, da cui scompaiono Vitti e Delon, sconcertarono il pubblico; oggi appaiono di una bellezza abbacinante» commenta Alberto Pezzotta).

 

 

Luca Biscontini