Occhi di Lorenzo Bianchini

Basta il suo nome, per me, a far venire i brividi. Ma in senso positivo, ovviamente. Sto parlando del regista friulano Lorenzo Bianchini, nato, cresciuto ed attualmente operante e residente ad Udine, il quale sembra compiere sul suo meraviglioso territorio quello che Pupi Avati ha compiuto nella sua Bassa Padana. Bianchini è un regista ed un personaggio altamente singolare, schivo, lontano dai riflettori, che però è riuscito a dar vita ad alcuni piccoli gioielli che sono considerati dagli estimatori del genere dei veri e propri cult, a partire dal suo film più famoso, Across the River (Oltre il Guado), del 2013, e risalendo indietro nel tempo a opere quali Custodes Bestiae del 2004 o al suo lungometraggio d’esordio, girato interamente in dialetto friulano nella scuola in cui lavora, l’Istituto Tecnico Industriale Malignani di Udine, Lidrîs cuadrade di trê, classe 2001. Le cifre che raggiungono i dvd di questi due primi film sul mercato ci fanno capire come Bianchini, sebbene esponente di un cinema squisitamente indipendente, sia oramai considerato un vero e proprio asso nella manica del nostro Made in Italy. Dopo il successo di Across the River, egli gira nel 2021 il suo ultimo film, L’Angelo dei Muri, purtroppo con un troppo breve passaggio nei cinema. Ma finora abbiamo parlato dell’edito. Quello che forse non tutti sanno è che nella filmografia del regista friulano ci sono ben due lungometraggi ancora, ahimè, inediti, ed in cerca di un’adeguata distribuzione: Film Sporco del 2005, una sorta di noir in stile cosiddetto tarantiniano, e Occhi, un thriller psicologico del 2010, che certamente si ispira al capolavoro di Avati, La Casa dalle Finestre che Ridono, ed al suo folle protagonista, il pittore d’agonie Buono Legnani, distaccandosene però con decisione, a voler rimarcare e sottolineare come Bianchini attinga a piene mani solo da se stesso, dal suo retaggio culturale legato al folklore ed alle leggende della sua terra, piuttosto che da modelli cinematografici ben precisi e riconoscibili. Se non si considera un fruitore eccessivo di film, ama però ricordare le storie che i nonni gli raccontavano prima di metterlo a letto, che hanno contribuito a creare il suo immaginario fantastico ben radicato in quella bassa friulana dove per adesso ha deciso di ambientare tutti i suoi film. E proprio Occhi, che ho avuto la grande fortuna di poter vedere, è il tema principale della mia chiacchierata di oggi. Ho amato particolarmente questo lavoro perché, da profonda estimatrice di Across the River, vi ci ho trovato all’interno i prodromi di quella che sarà la progressiva rarefazione dell’essere umano da parte di Bianchini, che arriva alla sua massima rappresentazione nell’ultimo L’Angelo dei Muri. Ma torniamo ad Occhi.

Il restauratore Gabriele Morelli viene inviato a restaurare gli affreschi della bellissima villa del Seicento posta a Crauglio, una piccola frazione in provincia di Udine. Nella villa vive solo un guardiano all’apparenza un po’ matto e brontolone, che inizialmente sembra collaborare di buon grado con Morelli. Durante un’ispezione della villa il restauratore si renderà conto che oltre agli affreschi seicenteschi ve ne sono altri più recenti, molto inquietanti, in parte coperti e con gli occhi accecati dalla furia sorda di uno scalpello. La curiosità sarà tanta che l’uomo, forte del fatto che la villa, per fortuna, non sarà più abbattuta per lasciare il posto ad un centro commerciale, deciderà di concentrarsi prima su questi strani affreschi che su quelli di maggior valore. Sarà allora che il guardiano comincerà a farneticare di strane apparizioni notturne alle finestre di Villa Crauglio e di luci che si accendono e si spengono da sole, e che sembrano incutere in lui una sorta di terrore agghiacciante e paralizzante. Quando Anna, sua amica di lunga data, giungerà da lui perseguitata da un ex compagno violento dal quale fugge, Morelli le proporrà di trasferirsi per qualche giorno nella villa isolata, dove potrà riprendersi dalle sue vicissitudini mentre lui si occupa dei restauri. La situazione, come si può immaginare, non gioverà né all’uno né all’altra.

Bianchini ci presenta fin da subito come l’indiscussa protagonista della storia la bellissima quanto decadente e misteriosa Villa Crauglio, nota nella realtà come Palazzo Fortificato Steffaneo Roncato nel comune di San Vito al Torre. Come tutti i fruitori dell’horror sanno, a partire da Lovecraft in avanti, tutte le case hanno una propria anima, una propria sensibilità, ed assorbono nel tempo la vita di chi le abita, con le sue gioie, i suoi dolori, i suoi tormenti, la sua follia. I muri tacciono, ma spesso sembrano avere occhi per guardare, spiare, e chi riuscirà a guardarli dritti in questi occhi potrà penetrarli fino a rimanere accecato dalle storie che essi sono in grado di trasmettere a chi ha la sensibilità per ascoltarle, farle proprie, fino ad una vera e propria fusione. Subito Bianchini ci cala nelle “sue” atmosfere, usando i mezzi che ha a disposizione con perizia notevole, e creando quel clima che è tipico dei suoi lavori fin dall’esordio, dove una semplice luce che si accende, una porta che sbatte o il rumore di una folata di vento riescono a mettere letteralmente i brividi. Difficile esprimere a parole ciò che si prova lasciandosi trasportare dal regista nel suo mondo fatto di silenzi, fotografie rarefatte, solitudine; Bianchini è un poeta che non usa i versi scritti ma le immagini catturate dalla mdp, e lo fa così bene ed in maniera così appagante che non ha bisogno di alcun effetto speciale digitale, né di litri di sangue, a lui basta raccontare, farci immergere nei racconti come quando, da bimbo, si lasciava cullare dalle parole del nonno che gli raccontavano di fate, elfi, folletti e mostri.

Insieme a Gabriele ed Anna penetriamo all’interno della misteriosa villa, ed insieme a loro cominceremo ad accorgerci con terrore di non essere soli, che qualcuno cammina di notte sulle travi sconnesse, imbratta gli specchi con frasi terrificanti, graffia i muri e le porte. E nel frattempo strane sculture emergono dalla polvere che le aveva sommerse per tanti anni all’interno del giardino padronale, strani uccelli dagli enormi occhi sferici che sembrano puntare perpetuamente sulla villa e su coloro che vi abitano. Oltre a qualche panoramica di Udine, la villa rimane unica location del film, così come era stata la scuola di Radice Quadrata di Tre e così come sarà  il paesino abbandonato di Across the River. Il terrore si concentra in un luogo, e, recandovisi, i protagonisti si ritroveranno totalmente soli nel silenzio che li inghiotte e li avviluppa. Qualche flashback onirico, utilizzato nella sfera dei sogni sia di Gabriele che di Anna, sembra fare da apripista a quelli, molto più numerosi, utilizzati in Across the River.

Come spesso è successo nella storia della letteratura e del cinema horror, la villa assorbe la follia dei precedenti abitanti e poi pian piano comincia a riversarla nelle menti di coloro che si aggirano per le sue stanze, un po’ come era accaduto ad esempio ai coniugi Lutz nel classico americano del 1979 Amityville Horror, i quali avevano fatto il grande sbaglio di andare ad abitare nella villa in cui Ronald De Feo aveva sterminato la sua intera famiglia. Anche qui, pian piano, i protagonisti delle passate tragedie inizieranno ad uscire prepotentemente dagli angoli reconditi della grande casa, dai corridoi, da dietro gli armadi, ed a prendere comodamente posto nella mente dei due malcapitati che, volutamente o no, si ritroveranno ad accoglierli, divenendone una sorta di involucro, di bozzolo. Pian piano sia Gabriele che Anna subiranno una sorta di metamorfosi, in maniera completamente differente ma con il fulcro sempre nei disturbi mentali di colui che lì aveva dimorato molti anni addietro.

Occhi è un film intimo, estremamente sottovoce, silenzioso, dove le urla ed i rumori forti si riducono ai minimi termini, e per questo risultano particolarmente incisivi e strazianti. Si può affermare, senza alcun timore di venire smentiti, che questo film rappresenta la genesi preparatoria di Across the River, dove la solitudine sarà ancora più totale, passando da due protagonisti ad uno solo, sperduto senza alcuna possibilità di rientro, in un villaggio deserto isolato dal resto dal mondo da un guado che si è riempito d’acqua rendendone impraticabile ogni uscita. Qui la villa non è isolata, non ci sono problematiche particolari che impediscano ai protagonisti di darsela a gambe e scappare via il più lontano possibile, ma una forza oscura, ancestrale, ipnotica, sembra trattenerli al suo interno, negando loro anche qui qualsiasi possibilità di scampo o redenzione.

Decisamente perfetti nei loro ruoli sono gli interpreti di questo piccolo gioiello di film, a partire dall’udinese Giovanni Visentin che interpreta Gabriele; dopo un esordio di tipo teatrale sotto la direzione di Strehler, Visentin inizia la sua carriera cinematografica negli Anni Ottanta, e verrà diretto da registi del calibro di Marcello Aliprandi, Sergio Castellitto, Damiano Damiani, Dario Argento, fino a diventare presenza quasi costante nei film di Marco Tullio Giordana. Edo Basso, già visto in Custodes Bestiae, qui nel ruolo del custode non poi così folle come sembra, che passa le nottate a sbirciare dalla propria dépendance l’interno della villa, offre una notevole ed altamente convincente performance. Trattandosi di una produzione italo-portoghese non possiamo, infine, non citare la brava attrice portoghese Sofia Marques nel ruolo di Anna, ultima pedina di questa triade che gira intorno alla villa maledetta ed ai suoi affreschi senza occhi. Non solo diretto, ma anche scritto da Bianchini, Occhi continuerà ad attingere a piene mani dalle atmosfere gotiche che il Friuli suggerisce. Questo film non è quindi, alla fine, un vero e proprio thriller come La Casa dalle Finestre che Ridono, a cui è stato più volte paragonato, ma è in realtà una storia d’isolamento, di solitudine, di follia conservata in certi luoghi e da essi rilasciata. I lunghi corridoi della villa, come era successo per quelli dell’Overlook Hotel di Shining, vengono ad un certo punto a simboleggiare i labirinti mentali in cui si perde il senno dei nostri protagonisti. Gli occhi estirpati rappresentano quindi una sorta di protezione, per non permettere di vedere ciò che le mura della villa celano. Chi vorrà spingersi troppo oltre nella conoscenza, dovrà farlo a suo rischio e pericolo.

 

https://www.imdb.com/title/tt2242332/

 

  Ilaria Monfardini