Stasera in tv su Rai 5 alle 22,15 Il padre d’Italia, con Luca Marinelli e Isabella Ragonese

Stasera in tv su Rai 5 alle 22,15 Il padre d’Italia, un film del 2017 diretto da Fabio Mollo, con protagonisti Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Sceneggiato da Fabio Mollo e Josella Porto, con la fotografia di Daria D’Antonio, il montaggio di Filippo Montemurro, le scenografie di Luca Servino e le musiche di Giorgio Giampà, Il padre d’Italia è interpretato da Luca Marinelli, Isabella Ragonese, Anna Ferruzzo, Mario Sgueglia, Federica De Cola. Per la sua interpretazione Isabella Ragonese di è aggiudicata il Globo d’Oro per la miglior attrice.

Trama
Paolo ha 30 anni e conduce una vita solitaria, quasi a volersi nascondere dal mondo. Il suo passato è segnato da un dolore che non riesce a superare. Una notte, per puro caso, incontra Mia, una prorompente e problematica coetanea al sesto mese di gravidanza, che mette la sua vita sottosopra. Spinto dalla volontà di riaccompagnarla a casa, Paolo comincia un viaggio al suo fianco che porterà entrambi ad attraversare l’Italia e a scoprire il loro irrefrenabile desiderio di vivere.

Lo sradicamento prodotto dalle politiche libertarie, che ha fatto implodere il corpo comunitario, gettando le masse nella fitta rete di un relativismo paralizzante, a fronte del quale l’unica libertà concessa è quella del consumo, è il tema di sottofondo, che, seppur fuori campo, caratterizza il discreto film di Fabio Mollo, Il padre d’Italia, qui al suo secondo lungometraggio. Gli interpreti, Luca Marinelli e Isabella Ragonese, sono quanto di meglio circoli nel panorama cinematografico italiano contemporaneo, e lo spettatore, infatti, non può non rimanere, a tratti, incantato da alcuni corpo a corpo linguistici, ma anche fisici, tra i due, da cui sgorga una non trascurabile quota di poeticità. Omossessuale e orfano lui, eccessiva, trasgressiva, assolutamente non votata alla maternità e fatalmente attratta da tutto ciò che è intenso e fa ardere l’anima lei, Paolo e Mia sono due individui esemplari, in quanto costituiscono la perfetta incarnazione del risultato di alcune attente politiche dell’esclusione, generate da una logica che non ammette movimenti tesi (anche inconsciamente) a scampare l’inevitabile ‘sussunzione’ all’interno dei rapporti di potere imperanti.

Mollo, che ha anche scritto la sceneggiatura del film assieme a Josella Porto, sceglie di rimanere in situazione, di tallonare i suoi personaggi, i quali, quantunque cerchino in tutti modi di dissimularlo, portano su di essi un passato doloroso e, in definitiva, non completamente elaborabile: la sofferenza che li anima li costituisce in quanto soggetti e gli fornisce anche uno spessore umano non comune. La gravidanza di Mia, eterosessuale, scapestrata, non adatta a diventare madre, diviene, dunque, la metafora di un futuro su cui tentare di scommettere ancora, malgrado tutto. Il modello famigliare classico è totalmente inadeguato (segnaliamo a tal proposito l’ottima interpretazione di Anna Ferruzzo, nei panni di Nunzia, madre di Mia) a raccogliere le nuove esigenze provenienti dal corpo sociale, e, allora, si tratta di balbettare l’avvenire, di dire l’impossibile, di cercare un modo ‘miracoloso’ per reagire ad un passato inadeguato e ad un futuro che si annuncia più che mai minaccioso. Continuare a sperare, insomma, cercando di praticare quelle nuove forme di soggettivazione che si stagliano, incerte, all’orizzonte.

“Miracolo”, termine espressamente usato da Mia e Paolo, è ciò che eccede l’ordinario, che riposiziona e riformula l’ordine simbolico: l’umanità di domani evocata da Mollo è chiamata a ‘superare se stessa’, a innescare un continuo, gioioso, portentoso processo di trasfigurazione, a partire da cui dare inizio a un movimento di deterritorializzazione capace di smarcare il monumentale muro semiotico eretto dal capitale. Sapremo danzare sulle ceneri dell’ultimo uomo? Sapremo eccedere e non cedere?

Il finale del film, che non sveliamo, rimane sì sospeso, e non poteva essere altrimenti, eppure gli sceneggiatori non si sono sottratti al dovere di prendere una posizione. E ciò senza poter valutare, in quanto al momento mancanti, tutti quegli elementi che consentono di esprimere un giudizio sicuro. Ma è proprio questo il punto: a volte si tratta di dover scommettere, di avere una fedeltà infinita nei confronti di un Evento che ci eccede e rispetto a cui si è ‘solo’ operatori locali e parziali. E allora lode a Molle e Porto, che non poco coraggiosamente si sono esposti, correndo il rischio di essere presi per progressisti a buon mercato, o, peggio ancora, per anime belle.

Il padre d’Italia è un film che si ritaglia uno spazio tutto suo all’interno della cinematografia recente del nostro paese; è un’opera che, seppur talora ammiccante (ci riferiamo in particolare ad alcuni passaggi in cui la commistione di musica e immagini cerca evidentemente di trovare una complicità emotiva nello spettatore, al di là di qualsiasi specifico ragionamento), si estromette, e non poco, dalla narrazione imperante (quella della scialba commedia nostrana degli ultimi anni), assumendosi molte responsabilità, esponendosi pericolosamente al ludibrio dei disfattisti di professione, alle intemperie dei dissociati di destra e alle critiche dei nevrotici di sinistra. Non è poco.

 

 

Luca Biscontini