Young ones – L’ultima generazione: cast all star ed echi multiformi

L’approdo di Young ones – L’ultima generazione sulle maggiori piattaforme digitali – da Sky Prima Fila ad Apple Tv – sarà certamente apprezzato dagli spettatori dai gusti semplici inclini ad anteporre il gioco fisionomico della psicotecnica alla tenuta stilistica dei registi. Il pubblico più esigente, che allo spettacolo della recitazione preferisce l’impronta autoriale in grado di andare ben oltre la soglia del mero mestiere, storcerà, invece, il naso?

Non è necessariamente detto. Casomai l’insistita lentezza, seppur non proprio ipnotica, sull’esempio dei nobili antesignani decisi a cogliere la verità interiore connessa agli scenari apocalittici scandagliando molteplici semitoni rivelatori in modo sobrio ed essenziale, mette in riparo Young ones – L’ultima generazione dall’enfasi sensazionalistica. La penuria del dinamismo dell’azione, dopo l’incipit piuttosto ordinario sotto questo aspetto, nonostante il ricorso – prima di un’esecuzione sommaria abbastanza prevedibile – ad alcuni chiari rimandi per intenditori (dal dettaglio ravvicinato sugli occhi dell’uccisore, caro al compianto Sergio Leone, ai movimenti di macchina a schiaffo caldeggiati da Martin Scorsese ne Il colore dei soldi), diviene persino un pregio.

Perlomeno a tratti. Specie quando il personaggio del survivor impersonato da Michael Shannon con la consueta destrezza recitativa mostra, insieme ai denti, qualche crepa nella maschera di apparente ferocia belluina. I risvolti sconsolati, anziché fermarsi in superficie, vanno in profondità. Addirittura sottopelle. Le pieghe western, viceversa, appaiono piuttosto risapute. Incapaci, pertanto, di porre gli stilemi dell’apposita geografia emozionale al servizio dell’ennesimo apologo sull’istinto di sopravvivenza nell’ambito di una cornice avveniristica incerta ed emblematica. Jack Paltrow, che nel 2007, esordendo in cabina di regìa con la commedia romantica The good night, era riuscito ad abbinare la crudezza oggettiva della realtà e la forza immaginifica del controcampo onirico, stenta ora ad aggiungere qualcosa di significativo al senso di precarietà dell’arcinota suspense. Tuttavia il leitmotiv della mancanza d’acqua, con la terra polverosa e immancabilmente deserta che riempie l’occhio anche senza fungere del tutto da idoneo paesaggio riflessivo ed evocativo, permette di seguire la trama, se non col cuore in gola o sui carboni ardenti, in maniera opportunamente conforme ai tratti distintivi dell’entertainment classico. Il bisogno del protagonista di lottare per la propria prole e sopperire all’empio diktat della siccità, quantunque non contribuisca ad accrescere l’esile acume visionario, che rispetto a The good night pesca nell’ovvio, trascende i limiti del banale professionismo.

Elle Fanning è una protagonista femminile d’indubbio spessore che impreziosisce le varianti sul versante narrativo rinvenibili nelle parabole familiari. Mentre il modello di Mad Max resta proibitivo, nonché inopportuno, quello dei migliori film intimisti statunitensi – da Voglia di tenerezza ad A spasso con Daisy – va a colpo sicuro. L’interazione tra interni chiaroscurali ed esterni desolati, ma ugualmente in grado di spingere gli spettatori a passare dalla precarietà di “vedere” alla possibilità di “guardare”, ed ergo di “scoprire”, tocca la corda giusta. A non battere chiodo è, al contrario, la latitante virtù della location di riverberare l’altalena degli stati d’animo. La gamma cromatica concepita dall’attenta fotografia garantisce a Young ones – L’ultima generazione dei rimarchevoli valori figurativi. I percorsi compiuti a bordo della jeep, sulle note della musica intradiegetica proveniente dalla radio, mentre una mota dall’effigie minacciosa sfreccia in direzione opposta, solleticano comunque il gusto delle platee cresciute appassionandosi al coacervo di fughe, spaventi, sorprese ed eroismi di I predatori dell’arca perduta, Terminator e All’inseguimento della pietra verde. Rispetto ai cult che hanno saputo congiungere la brillantezza dei dialoghi a un intreccio di piste composite, tenendo sempre desta la soglia dell’attenzione e di conseguenza l’implicita sospensione dell’incredulità, Paltrow tira onestamente la carretta. Nella piena consapevolezza che, soprattutto in contesti del genere, portare l’acqua al proprio mulino è un conto; trarre partito dai capolavori avvezzi alle risate intelligenti, al piacere dell’invenzione, al dono dell’immaginazione, alla varietà dell’action è un altro paio di maniche.

I bicchieri di whiskey centellinati, gli immancabili confronti con sparuti avversari, i chiari di luna, le palingenesi, i foschi presagi non creano alcuna vertigine mentale. Il gusto dell’inquadratura dona talora spessore agli incontri inattesi. L’intrinseco coinvolgimento estetico cede poi spazio all’impasto di pathos e dolcezza che rende quasi inutile il surplus della durezza ambientale e del thrill. O brivido che dir si voglia. La fuga della figlia col fidanzato ribelle ai diktat dell’autocrate Ernest Holm alias Michael Shannon non riesce ad aprire il varco agli accenti dei thriller, appunto; bensì giova alla ricchezza espressiva delle cordiali opere umanistiche. L’egemonia delle sfumature sugli aspetti eccessivamente sottolineati costituisce di per sé una risorsa. Dissipata spesso nell’insistere ad appaiare le esplicite preghiere per la pioggia alle pose virili. Adatte ad affetti primitivi. Inadatte alla riflessione esistenziale stimolata dalla solidarietà affettiva. Il precario equilibrio, reo di unire storie minimali ed eventi eccezionali, s’inchina all’incoerenza dovuta alla prima e alla seconda unità. Ciascuna tira la coperta dalla sua parte. Paltrow, ciononostante, conosce i ferri del mestiere: i carrelli all’indietro, sui volti degli incerti coloni, correggono le incertezze del copione; la durezza dell’habitat, sebbene scontata, a lungo andare risulta incalzante agendo da corrispettivo per i canoni della commozione. La cui vittoria sull’aperta diffidenza dei cuori di pietra rientra nella norma. Nulla di strepitoso quindi. Ma c’è quanto basta per sconfiggere l’incognita deleteria della noia di piombo in Young ones – L’ultima generazione. Grazie alla verve di un cast all stars che ci consegna l’ennesimo invito a guardare al futuro nel doveroso rispetto della tradizione dei sentimenti.

 

 

Massimiliano Serriello