Cieco sordo muto: Lovecraft secondo Lepori

Fino a qualche anno fa in Italia a cimentarsi seriamente con Lovecraft c’era stato solo Ivan Zuccon, che aveva più volte trasposto in immagini i racconti del Poeta dell’Inenarrabile, senza contare la piccola ma interessante parentesi del mockumentary dei registi Federico Greco e Roberto Leggio del 2005, Il Mistero di Lovecraft – Road to L., che favoleggia addirittura su un possibile viaggio in Italia del Solitario di Providence. Ma portare sullo schermo Lovecraft è difficile, si sa, terribilmente ambizioso, pericoloso, ci vuole molto coraggio, si rischiano critiche enormi. Ebbene, lui coraggioso lo è eccome, e lo ha dimostrato in tutta la sua filmografia, sfidando apertamente l’opinione comune e producendo una serie di pellicole dallo stile inconfondibile, che possono piacere o no, per carità, ma sicuramente hanno il suo indelebile marchio di fabbrica: sto parlando di Lorenzo Lepori, regista ed attore toscano classe 1985, che nel 2022 ci aveva presentato il suo ultimo lavoro, il controverso Grida dalla Palude, che raccontava la vendetta di una donna su colui che aveva distrutto la sua famiglia. Interprete assoluta del film era la moglie del regista, la splendida Simona Vannelli, attrice che vanta una lunghissima carriera teatrale e che ha accompagnato Lorenzo in moltissime delle sue pellicole. In questo 2023 Lepori torna a regalarci un nuovo film, molto diverso dai suoi lavori precedenti, Cieco Sordo Muto, che lui stesso definisce un vero e proprio salto di qualità, ma nel quale mantiene una buona fetta della sua squadra lavorativa: tanto per cominciare la fedele Simona Vannelli e l’altrettanto fido Pio Bisanti, una sorta di attore feticcio di Lepori, e poi lo storico sceneggiatore Antonio Tentori, collaboratore di grandi nomi che vanno da Fulci ad Argento, che sia qui che in Grida dalla Palude appare sia nella scrittura del soggetto che in veste di attore. Rimboccandosi le maniche, quindi, prendendo in mano il racconto Cieco, Sordo e Muto di Lovecraft (Blind, deaf and dumb), e tradendolo per renderlo più cinematografico possibile, Lepori si imbarca in questa avventura verso l’ignoto, facendo salire a bordo del suo U-29 uno dei grandi nomi del nostro amato cinema di genere, l’attore irlandese David Brandon, che ritorna su un set horror dopo 10 anni esatti, visto che nel 2013 aveva preso parte alla ghost story Neverlake, di un altro regista toscano, Riccardo Paoletti.

Cosa può essere peggio dell’Orrore, se non che questo stesso venga inflitto ad una persona inerme? Lovecraft ci racconta del poeta Richard Blake che torna dalla guerra semiparalizzato, cieco, sordo e muto, e con una nuova e più acuita capacità visionaria che lo fa entrare in contatto con forze che nessuna persona dotata di tutti i sensi normali può nemmeno immaginare: “La stanza rimbomba di una cantilena demoniaca, aritmica, atonale, assurdamente beffarda … un coro che recita blasfeme litanie …” La pellicola si apre con una scena disturbante di un uomo che si cava gli occhi e si taglia lingua ed orecchie prima di auto pugnalarsi, ma la sua sorte rimane ignota. Ci si sposta poi subito dopo in una bella villa isolata sulle colline toscane che viene presa in affitto da un anziano scrittore cieco, sordo e muto, David, ed i suoi due assistenti, Simona e Pio. I due sono costantemente a servizio dell’uomo, visionario e paranoico all’inverosimile, tanto che sono spesso preda di attacchi di nervosismo e di pura disperazione. Una volta Simona deciderà di varcare la soglia della cantina in cui David si reca sempre da solo, e scoprirà là sotto l’esistenza di orrori inimmaginabili che la renderanno succube della loro oscura volontà. Tra creature tentacolari, bisbigli spaventosi e morti impietose, Lepori ci porta verso un finale che più lovecraftiano non si può, dove il bandolo della matassa viene in gran parte lasciato sciogliere allo spettatore, che piloterà il suo pensiero verso ciò che ritiene più adeguato alla conclusione di questo incubo lisergico.

Senza dubbio il film più visionario ed astratto della carriera di Lepori, Cieco Sordo Muto è anche il suo esordio nelle sale: coprodotto da DigitMovies e da Cinnamon Digital Cinema, è il primo titolo del regista toscano che avrà una sua propria distribuzione cinematografica. Come spesso è successo nella filmografia di Lepori, anche stavolta le riprese si sono svolte nella sua Toscana, e nello specifico a Buggiano Castello, in provincia di Pistoia. Quasi tutto il film è girato nella seicentesca Villa Sermolli, oggi sede di un hotel e di un ristorante, che per l’occasione è stata adibita a quartier generale di cast e troupe. Proprio nei sotterranei della, a cose normali, ridente location, Lepori collocherà la sede dell’oscura divinità che qui un tempo veniva venerata con un culto blasfemo e sanguinario che aspetta solo, pazientemente, di essere riportato alla luce. Si attinge da Lovecraft, certo, ma lo si contamina col gotico e con l’horror erotico europeo, fatti grandi da nomi quali Mario Bava e Jess Franco, che sono stati senza dubbio fonti d’ispirazione per il regista toscano, il quale sceglie i loro colori e le loro atmosfere per dare vita ad uno dei tanti incubi visionari e psichedelici dello scrittore statunitense. Come da lui stesso dichiarato in un’intervista, lo scopo di Lepori era quello di generare “un ideale mix fra la decadenza torrida di certa exploitation psichedelica settantiana e l’immaginario inquietante dello scrittore americano”, e mi permetto di affermare che sia riuscito perfettamente nel suo intento.

Se Simona Vannelli e Pio Bisanti ci regalano interpretazioni intense e prove attoriali davvero toste, il protagonista assoluto di quest’opera non poteva che essere lui, David Brandon, uno splendido settantenne che mantiene ancora intatti il fascino magnetico e la prestanza fisica che riempie lo schermo di quando lavorava a fianco di grandi nomi del genere italiano quali Joe D’Amato, Tonino Cervi, Michele Soavi, Lamberto Bava, Sergio Martino, Claudio Fragasso ed Umberto Lenzi. Come scordarlo in Deliria di Soavi (1987), o Per Sempre di Bava (1987) o ancora La Casa 5 di Fragasso (1990)? Un attore, insomma, che, nonostante gli esordi teatrali a fianco di Lindsay Kemp, ha saputo poi ritagliarsi un posto di tutto rispetto nel nostro cinema Made in Italy. Qui si imbarcherà nella sfida non semplice di interpretare uno scrittore cieco, sordo e muto, ma la porterà in fondo con grande eleganza ed innata classe, doti che peseranno certamente in positivo nell’upgrade del cinema di Lepori.

Oltre all’ottimo cast, ridotto all’osso, la pellicola può contare anche sulle qualità di professionisti quali la special-make up ed effettista Grazia D’Amaro, ed il direttore della fotografia e musicista Federico Giammattei. Ottime e cupissime atmosfere, quindi, preziosamente fotografate, effetti artigianali egregiamente realizzati e una colonna sonora che sopperisce splendidamente alla carenza di dialoghi e ci fa entrare sempre più in questo inferno visionario e disturbante dal quale verranno fagocitati pian piano i nostri incauti protagonisti.

Certo, come quasi sempre accade quando un regista si interfaccia con Lovecraft, pur mantenendo le atmosfere malate dello scrittore, la trasposizione video prende sempre sentieri un po’ diversi, distaccandosi, per forza di cose, dall’originale. Già i protagonisti stessi della storia sono stai cambiati da Lepori, in quanto nel racconto originario erano solo due, lo scrittore ed il suo servo, e non c’è traccia alcuna di presenze femminili, mentre qui, oltre al personaggio fondamentale di Simona, le donne prendono parte al gioco nelle figure della barista del paese e della prostituta che allevia i dolori del povero David. Scompare del tutto, nella sceneggiatura, la figura del dott. Morehouse, personaggio chiave, invece, nel racconto. La palude, poi, che nella storia ha tanta parte, e che nasconde al suo interno gli indescrivibili orrori che porteranno alla pazzia del servo ed alla morte dello scrittore, non essendo fisicamente presente nei pressi di Villa Sermolli, è stata sostituita da una pozza melmosa e maleodorante che si cela nei sotterranei della grande casa, la quale sembra vi sia stata direttamente edificata sopra. Insomma, come specificato subito dal regista nei titoli di testa, questo film è “liberamente” ispirato a Lovecraft, ne riprende la tematica di base, l’idea di fondo, per poi seguire però un binario prettamente personale, originale, che sfocerà in un finale molto diverso da quello del racconto ma mantenendone elegantemente e coerentemente le atmosfere, mostrandoci così come Lepori possa vantare una conoscenza profonda dell’opera omnia dello scrittore americano, dalla quale coglie con enorme rispetto alcuni elementi chiave e li fa confluire nella narrazione su cui sedimenta la sua pellicola. Un po’ come aveva fatto Ivan Zuccon nel suo La Casa Sfuggita del 2003, in cui, oltre al racconto omonimo da cui mutua il titolo, scritto da Lovecraft nel 1924, fa confluire, fondendolo perfettamente, un altro famoso racconto dello scrittore, La Musica di Erich Zann, classe 1921.

Concludo quindi la mia riflessione sull’”inenarrabile dell’altrove” raccontato dagli occhi di Lorenzo Lepori citando un brano della storia originale del Folle di Providence, invitando così tutti coloro che, come me, sono cresciuti immersi nelle sue pagine, a godersi le atmosfere di Cieco Sordo Muto ed a ricercare nei suoi meandri le innumerevoli citazioni ed omaggi di cui è infarcito. “Non è una sola voce che sussurra, ma molte! Ronzio orrendo di tafani schifosi … svolazzare diabolico di api frenetiche … sibili di rettili osceni … Un coro sommesso che nessuna gola umana potrebbe cantare! Il volume sta crescendo … la stanza rimbomba di una cantilena demoniaca, aritmica, atonale, assurdamente beffarda … un coro che recita blasfeme litanie … un peana di sofferenze abissali messe in musica da anime dannate … l’abominevole crescendo di un pandemonio pagano. Le voci intorno a me si fanno più vicine. Il canto s’è interrotto bruscamente e il bisbiglio s’è trasformato in suoni intelligibili … Parole, tendo l’orecchio per cogliere parole vicine … sempre più vicine. Adesso le sento chiaramente, troppo chiaramente! Fossi rimasto sordo per sempre, piuttosto che dover ascoltare l’infernale significato di queste parole. Empie rivelazioni di saturnali che disgustano l’anima … idee mostruose, devastanti dissolutezze, allettamenti profani, orge di Cabiria, minacce tremende di punizioni inconcepibili. Fa freddo. Un freddo assolutamente fuori stagione! Quasi ispirata dalle presenze demoniache che mi assediano, la brezza, gentile fino a qualche minuto fa, ora fischia furiosamente ai miei orecchi … un vento gelido che soffia dalla palude gelandomi fino alle ossa”.  H. P. Lovecraft, “Cieco, sordo e muto”, 1925.

 

 

Ilaria Monfardini